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Presentazione libro “Millennium bug. Una storia corale di Indymedia Italia”

Venerdì 16 ottobre 2021, il Centro di documentazione dei movimenti F. Lorusso-C. Giuliani, in collaborazione con la libreria Modo info shop, presenta il volume “Millennium bug. Una storia corale di Indymedia Italia” presso lo spazio libero autogestito Vag61 (via Paolo Fabbri 110, Bologna)
>> 20:00 cena sociale
>> 21:00 inizio presentazione

«Don’t hate the media, become the media».
Con questo slogan nacque Indymedia – nel novembre del 1999 a Seattle – in occasione della mobilitazione contro il Wto che fu fondamentale per la diffusione del movimento No Global. Un sito per raccontare le proteste, che in quei giorni collezionò più di un milione di visitatori, numero incredibile per l’epoca e impressionante ancora oggi. La grande forza di Indymedia fu l’open publishing: permettere a chiunque di pubblicare testi, immagini e video in uno spazio del sito chiamato Newswire. Fu una rivoluzione nel mondo della comunicazione, in anni in cui i computer e la rete non erano ancora diffusi ovunque, non c’erano gli smartphone, non esistevano i social network, e i grandi giornali avevano appena iniziato a mettere on line i propri siti statici.
Il sito era composto da una Home Page divisa in tre colonne con al centro quella delle features. I testi venivano discussi in gruppo su una mailing list, e sulla destra il newswire, ovvero l’elenco aggiornato in tempo reale di tutti i contributi pubblicati dagli utenti, nella colonna di sinistra c’era la lista che elencava gli altri nodi della rete. Ogni nodo locale era autonomo nel funzionamento, ma allo stesso tempo connesso e coinvolto nella rete internazionale. Ogni nodo locale poteva organizzare alcuni dettagli in maniera diversa, ma tutti i nodi venivano organizzati attorno ai principi dell’open publishing e dell’orizzontalità.
Nell’arco di un paio d’anni Indymedia divenne un fenomeno globale, cambiando la percezione della rete. Stravolse la gerarchia delle fonti di informazione, con un progetto no profit basato sull’autogestione che anticipò molti degli strumenti nati successivamente.
A Genova Indymedia risultò fondamentale. Nelle giornate contro il G8 le strade della città ligure si riempirono di attivisti armati di telecamere e macchine fotografiche. Senza uno strumento di diffusione aperto come Indymedia, però, le informazioni raccolte durante le manifestazioni sarebbero state di fatto gestite solo dalle grandi redazioni o destinate agli archivi individuali. Un sito web aperto e senza filtri, che pubblicava materiale in continuazione, permise alle testimonianze di quei giorni di arrivare dappertutto e tolse dalle mani dei media mainstream la narrazione di quei giorni, rivelandosi poi decisivo anche in sede processuale.
Dopo Genova Indymedia andò avanti alcuni anni, altre realtà proseguirono alcuni discorsi radicali nella lettura dei fatti tecnologici e legati al destino e alla vita della rete. Senza dubbio si trattò del più importante progetto di comunicazione autogestita della storia dei movimenti sociali.


NB: la serata si terrà all’aperto e sarà fino a esaurimento posti. Inoltre, chiediamo a chi intende frequentare gli spazi di Vag61 di farlo osservando alcune precauzioni, come l’uso della mascherina, il distanziamento fisico e il rispetto della disposizione dello spazio.

Di seguito l’intervento introduttivo della serata.

Benvenute/i a tutti e tutte, continua il ciclo di appuntamenti organizzati dal Centro di Documentazione dei movimenti Francesco Lorusso e Carlo Giuliani dedicati alla memoria del G8 di Genova del 2001 e al variegato popolo altermondialista che ha animato la contestazione globale di quegli anni.

Dopo le presentazioni del libro “No Global Bo”, ieri, e del podcast di Internazionale, “Limoni”, con la partecipazione dell’autrice, Annalisa Camilli, oggi pomeriggio; incontriamo stavolta un altro degli attori, o delle soggettività, principali di quell’esperienza: Indymedia.

Un network di comunicazione indipendente online, nato nel novembre del 1999 a Seattle in occasione della mobilitazione contro la Wto, che rappresentò l’esplosione al pubblico del movimento cosiddetto “No Global”. Un sito per raccontare le proteste e raccontarsi, ma anche un luogo di comunità, che in quei giorni collezionò più di un milione di visitatori, numero incredibile per l’epoca e impressionante ancora oggi.

Il sito era composto da una Home Page divisa in tre colonne: al centro quella delle features, cioè gli editoriali dei “gestori” pubblicati a seguito di discussioni in gruppo su una mailing list o rilanciati dal newswire; sulla destra c’era proprio il newswire, ovvero l’elenco aggiornato in tempo reale di tutti i contributi pubblicati liberamente dagli utenti; nella colonna di sinistra, la lista che elencava gli altri nodi della rete. Ogni nodo locale era autonomo nel funzionamento, ma allo stesso tempo connesso e coinvolto nella rete internazionale: poteva organizzare alcuni dettagli in maniera diversa, ma tutti i nodi vivevano attorno a principi base come il metodo del consenso – che non prevede votazioni ma il raggiungimento di una linea condivisa – e l’orizzontalità. Unici punti imprescindibili per non subire la rimozione dal newswire erano l’antifascismo, l’antirazzismo e l’antisessismo.  

Nell’arco di un paio d’anni Indymedia divenne un fenomeno globale, cambiando la percezione della rete. Stravolse la gerarchia delle fonti di informazione, con un progetto no profit basato sull’autogestione che anticipò molti degli strumenti nati successivamente.   

     A Genova Indymedia risultò fondamentale. Nelle giornate contro il G8 le strade della città ligure si riempirono di attivisti armati di telecamere e macchine fotografiche. Senza uno strumento di diffusione aperto come Indymedia, però, le informazioni raccolte durante le manifestazioni sarebbero state di fatto gestite solo dalle grandi redazioni o destinate agli archivi individuali. Un sito web aperto e senza filtri, che pubblicava materiale in continuazione, permise alle testimonianze di quei giorni di arrivare dappertutto e tolse dalle mani dei media mainstream la narrazione, e quindi la costruzione dei significati, di quei giorni, rivelandosi poi decisivo anche in sede processuale.   

Dopo Genova Indymedia andò avanti alcuni anni. Indymedia Italia verrà freezata (verrà interrotta la pubblicazione delle features e disabilitati i commenti e il newswire) nel 2006, dopodiché nasceranno vari nodi locali: l’ultimo a chiudere sarà il nodo piemontese nel 2017.

Senza alcun dubbio, Indymedia è stato il più importante progetto di comunicazione autogestita della storia dei movimenti sociali.

     La grande forza di Indymedia fu che non pensava solamente a quale uso alternativo fare delle tecnologie esistenti (come era successo negli anni ’70, per esempio, con le radio indipendenti o libere), ma ne proponeva delle nuove, come lo streaming, lo user content e, soprattutto, l’open publishing che permetteva a chiunque di pubblicare testi, immagini e video nel Newswire. Fu una rivoluzione nel mondo della comunicazione, in anni in cui i computer e la rete non erano neanche lontanamente quelli che conosciamo oggi, né per sviluppo né per diffusione, non c’erano gli smartphone, non esistevano i social network, e i grandi giornali avevano appena iniziato a mettere on line i propri siti statici.

Il motto «Don’t hate the media, become the media», marchio distintivo di Indy, oggi, come dice la quarta di copertina del libro di cui parliamo stasera, è un concetto sussunto e ribaltato: i social network, come tutto quello che è interattività online – cioè tutto il web 2.0 e il citizen journalism , che oggi dominano le nostre esistenze – sono i figliastri proprietari e capitalisti di Indymedia.

Per questo motivo, noi che non l’abbiamo vissuta o che eravamo comunque troppo piccoli per ricordarcela, rimaniamo affascinati davanti all’idea che non sia necessario che ci sia un Mark Zuckerberg di turno a trarre profitto dal nostro bisogno di comunicare, e che la realtà in cui siamo immersi sia basata sul furto (appropriazione) dell’innovazione tecnologica che Indymedia aveva portato in modo rivoluzionario.

E siamo curiosi di saperne di più.

Andiamo quindi a presentare i nostri ospiti […], che hanno tutti partecipato al nodo italiano di Indymedia e che hanno contribuito alla realizzazione di “Millennium bug. Una storia corale di Indymedia Italia”, edito da Alegre in occasione del ventennale del G8, e curato da Emanuela Del Frate, Sara Menafra, Peppe Noschese, Francesca Urijoe e Franco Vite, anch’essi protagonisti in prima persona della storia di Indymedia Italia.

Per chi non fosse riuscito a partecipare, o per chi volesse rivederla, trovate qui il video della presentazione del libro “Millennium bug. Una storia corale di Indymedia Italia”.