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Piazza Fontana. Perchè la verità la sappiamo

Il 12 dicembre 1969, alle 16 e 37, in Piazza Fontana a Milano. nella sede della Banca Nazionale dell’Agricoltura, il piano terreno era ancora affollato da agricoltori, sensali e commercianti di bestiame. Molti di loro venivano dai paesi della provincia e si riunivano nell’atrio della banca per le contrattazioni.

L’esplosione, violentissima, avvenne poco dopo le 16 e 30 e devastò tutto quello che c’era intorno.

Quel botto tremendo trafisse l’Italia intera, fu un trauma che lasciò una piaga profonda in tutto il Paese. Furono 17 le persone che persero la vita e 88 quelle che rimasero ferite, con lesioni più o meno gravi.

Ci furono altre tre deflagrazioni quel giorno che, per fortuna, non produssero gli stessi effetti. Avvennero a Roma, davanti all’Altare della Patria, all’ingresso del Museo del Risorgimento a Piazza Venezia e alla Banca Nazionale del Lavoro di via San Basilio.

Con l’attentato di Piazza Fontana si concluse un decennio che era cominciato nel segno del boom economico ed era proseguito con uno sviluppo industriale spinto, con le forti migrazioni dalla campagna alla città e dal Sud al Nord del Paese e con l’esplosione dei consumi di massa. La favola bella del capitalismo era, però, stata messa in discussione e contraddetta dalla contestazione del sessantotto e dalla crescente conflittualità sociale, con i cortei, gli scioperi e i picchetti operai dell’autunno caldo.

Il 12 dicembre 1969, dopo lo scoppio delle bombe di piazza Fontana, i giornali e il sistema politico si scatenarono contro gli estremisti e contro le iniziative di lotta incontrollate. Si guardò alle lotte operaie come se fossero in qualche modo responsabili dell’evento delittuoso.

Il Presidente del Consiglio Mariano Rumor, nel suo messaggio dopo l’attentato, dichiarò: «quello che è accaduto rende “indifferibile” la firma del contratto dei metalmeccanici».

Sulle colonne del Giorno, il giornale per cui lavorava a quell’epoca, Giorgio Bocca parlò per tutti scrivendo: “si vorrebbe dire ai sindacati e alle aziende che credono nella democrazia: signori, fate presto a concludere”.

Il 21 dicembre venne firmato il contratto dei metalmeccanici delle aziende private.

Il 13 dicembre, giorno successivo all’attentato, a Bologna ci furono diverse manifestazioni di rabbia e di protesta: sciopero delle scuole medie superiori con corteo, assemblea all’università, fermate nelle fabbriche e comizio in piazza dei sindacati nel tardo pomeriggio. In diverse prese di posizione si denunciava la matrice fascista e reazionaria dell’attentato di Milano, quasi subito si iniziò a parlare di “strategia della tensione”,

Altre manifestazioni si effettuarono il 15 dicembre, in contemporanea ai funerali che si svolsero in Piazza Duomo a Milano. Al mattino venne occupato l’Istituto Tecnico Commerciale Marconi, nel tardo pomeriggio, mentre era in corso un’assemblea con studenti di altre scuole sulla strage di Piazza Fontana, la polizia arrivò in forze ed effettuò lo sgombero dell’edificio scolastico.

Quello stesso pomeriggio giunse la notizia dell’arresto del ballerino anarchico Pietro Valpreda. Intorno a mezzanotte il ferroviere anarchico Giuseppe Pinelli precipitò dal quarto piano degli uffici della Questura di Milano, mentre era in corso un suo interrogatorio sulla bomba alla Banca dell’Agricoltura. Il questore Marcello Guida, quello che a Torino era stato legato a filo doppio alla Fiat, parlò subito di suicidio, aggiungendo che “il Pinelli era profondamente compromesso” con l’attentato di Piazza Fontana. Questa dichiarazione era in perfetta sincronia con la direttiva ministeriale che considerava gli anarchici come responsabili degli attentati.

Questa falsa pista, costruita a tavolino dall’Ufficio Affari Riservati del Viminale, fu una delle cose più vergognose che ruotarono attorno alla strage di Piazza Fontana, necessaria a puntellare la teoria degli opposti estremismi, quella che per un ministro degli Interni dell’epoca era solo un “espediente retorico”.

A Bologna il clima si arroventò ancora di più il 18 dicembre: davanti all’Istituto per geometri Pacinotti, venne organizzata una manifestazione per rispondere al divieto del preside di tenere un’assemblea sulla strage alla Banca dell’Agricoltura. Caso strano, i fascisti della Giovane Italia si ritrovarono intruppati nell’atrio della scuola per difendere le decisioni dell’Ufficio di Presidenza. Il giorno successivo, a una manifestazione contro lo sgombero del Marconi, gli studenti delle medie superiori si scontrarono con la polizia.

La settimana di lotta si concluse il 21 dicembre con una grande manifestazione cittadina antifascista.