“Io sono Femminista! Le lotte della Bologna anni Settanta”, recensione sul sito www.emiliodoc.it:
“Un docufilm sul movimento femminista di Bologna”, articolo di Emanuela Giampaoli, “la Repubblica” – cronaca di Bologna, 8 marzo 2019:
Tra i primi gesti di ribellione ci fu il rifiuto di essere gli Angeli del Ciclostile. Così erano chiamate dai compagni di Lotta Continua le donne che passavano le nottate a ciclostilare i documenti del Movimento. Quando chiesero di poterlo usare anche per sé, arrivò un no secco. E non andò meglio a quelle di Avanguardia operaia e di Potere operaio. Fu così che tutte, o quasi, abbandonarono la doppia militanza, scegliendo di dar vita sotto le Torri al movimento femminista. Lo racconta il documentario autoprodotto ” Io sono femminista!” realizzato dal Centro di documentazione Francesco Lorusso — Carlo Giuliani per la regia di Teresa Rossano, che si può acquistare al Vag61 e che verrà proposto il 23 marzo alle 19.30 al circolo della Pace di via del Pratello. A ripercorrere quella stagione, dal ‘ 68 al ‘ 77 sono 14 donne, tutte pioniere della rivolta femminile, tra cui Patrizia Pulga, Patrizia Gubellini, Anna Lisei, Roberta Gavazzi, Anna Orsini fino a Sandra Schiassi, scomparsa un anno fa cui l’opera è dedicata. Si incontravano al bar Goliardo ( poi murato dalla polizia), aprivano locali come la Tregenda ( vietato agli uomini sei giorni su sette), idearono la rivista ” Siamo istericheee”, occuparono un’aula a Lettere, si schierarono a favore dell’aborto, organizzando perfino interruzioni di gravidanza clandestine. « È un lavoro collettivo — spiega la regista — che prova a collegare quelle esperienze al grande movimento femminista di oggi » . Mentre scorrono filmati e foto d’epoca, ciascuna di loro fa rivivere quella stagione formidabile. « L’ 8 marzo del ‘ 77 — ricordano — fummo caricate dalla polizia. Erano le prove generali, tre giorni dopo sarebbe morto Lorusso».
“Lucha y Siesta apre al cinema, per uno sguardo consapevole e partecipato”, recensione sul sito https://opereprime.org/2019/07/04/lucha-y-siesta-apre-al-cinema-per-uno-sguardo-consapevole-e-partecipato/
Giunge a metà programma il cineforum a cura della Casa delle donne Lucha y Siesta, ritagliandosi un posto d’eccezione tra gli eventi capitolini più coinvolgenti del momento.
Nell’attuale trambusto degli sgomberi urbani e della ridiscussione morale e legislativa di centri che, in circostanze contrarie, soccomberebbero al disuso e a una mancata specificità, Lucha rende onore alle sue origini.
Sull’onda di un’estate tanto raggiante quanto inerte, lascia che la luce di una coscienza partecipata affiori nella penombra di un quartiere, un microcosmo in grado di riflettere un mondo intero, nelle sue ricchezze e contraddizioni.
Lo fa da sempre, ponendosi non solo come un centro antiviolenza, ma come un baluardo dell’autodeterminazione e delle libertà individuali. Una piccola grande impavida roccaforte dell’inclusività e del confronto.
Una struttura che fa delle sue fondamenta il coinvolgimento di più realtà e contingenze. In uno scenario socio-politico in cui non vi è più obiettività ma posizionamento, dove una mole illimitata di sfumature tingono di più colori il presente, si abbisogna come mai di nuovi sguardi, prospettive e consapevolezze.
È “consapevole”, oltre che “libero”, l’approccio spettatoriale cui chiama a raccolta Lucha per la sua rassegna: otto pellicole per otto proiezioni autogestite, ognuna delle quali ha, a suo modo, siglato uno spartiacque nell’immaginario dell’ultima stagione filmica. Il tutto con un irrinunciabile occhio di riguardo verso l’identità di genere, la sua scoperta e riscoperta.
Non desta stupore se a inaugurare l’iniziativa sia stato un esordio, il documentario Io sono femminista! a firma della cineasta Teresa Rossano. Un’opera prima nel senso più lato del termine, da non circoscrivere agli angusti margini del lavoro registico, ma da ampliare a un intero collettivo: il film è, di fatto, frutto di un lavoro condiviso e autogestito, che gode dell’apporto offerto dal Centro di Documentazione Francesco Lorusso – Carlo Giuliani e da Vag61.
Ben 14 incontri e interviste snodati in un montaggio intimo e ricercato: una sequela di parole e scambi, intenti a volgere un occhio fulgido alle lotte di ieri per porne un altro, del tutto inedito, a quelle di oggi.
Il tutto congiungendo nel filo rosso della sorellanza le compatibilità di un tempo non troppo remoto. Un film che, data l’alterità prospettica della sua narrazione, innesca un atipico cortocircuito nell’odierno filone documentaristico nostrano.
Il che delinea una cifra degna di un autentico debutto su grande schermo: un’opera prima che è tale solo quando è significativamente anomala. Fa eco la successiva programmazione, sagace e eterogenea, che amalgama su misura grandi successi di critica e pubblico alle nuove istanze dell’audiovisivo.
Dall’ultima decantatissima fatica di Yorgos Lanthimos, La favorita, passando per Un sogno chiamato Florida di Sean Baker, ritratto feroce e decostruttivo di un lido lontano dai patinati “spring break”.
Fa eco Via della felicità, lungometraggio d’esordio della barese Martina Di Tommaso, ex Centro Sperimentale, che ripercorre i torpori del viaggio e l’inevitabile radicamento alla propria terra.
Con l’eclettico Manifesto di Julian Rosefeldt si spiana, infine, il terreno agli appuntamenti che chiuderanno la retrospettiva: La donna elettrica dell’islandese, nominato dall’Academy, Benedikt Erlingsson, il documentario Normal, fresco di Berlinale, di Adele Tulli e Boy Erased – Vite cancellate di Joel Edgerton, in vista della serata conclusiva del 23 luglio.
Appuntamento ogni martedì a Roma in via Lucio Sestio, 10.
Aperitivo dalle 19:30
Proiezione dalle 21:00
Ingresso, come sempre, libero e consapevole.
di Francesco Milo Cordeschi
Perché dire “Io sono femminista” fa ancora paura, recensione di Serenella Calderara sul sito www.left.it
Quanto timore, ancora oggi, a pronunciare la parola: “femminista”. Quanta paura ad ascoltarla. Questo termine, così diretto e, al tempo stesso così armonioso, suona come un qualcosa di cui sarebbe meglio vergognarsi. Qualcosa che, dopo tutto, stona con l’immagine della donna vera, quella che per secoli ci è stata presentata come la madre accogliente e prona. Non sono solo gli uomini a disprezzarlo, anche le donne stesse. Non tutte, fortunatamente.
Teresa Rossano, coadiuvata dal Centro di documentazione dei Movimenti Lorusso-Giuliani, ha voluto omaggiare la lotta femminista condotta da alcune donne della Bologna degli anni Settanta. È nato così il documentario: Io sono femminista!, in cui le voci delle ragazze di allora offrono numerosi spunti di riflessione alle ragazze di oggi, perché dietro a questo termine è necessario che resti sempre viva la fiamma di un’unica e intensa lotta contro una società maschilista e patriarcale.
Com’è nata l’idea di questo documentario?
Il documentario, interamente autoprodotto, nasce all’interno di un percorso di riflessione del Centro di documentazione dei Movimenti Lorusso-Giuliani sugli anni Settanta. I materiali che conserviamo e cataloghiamo vengono messi a disposizione di chi li vuole consultare come, ad esempio, le/gli studenti universitari per le loro tesi di laurea. L’attività del centrodoc però non si limita a questo: rendiamo disponibile ciò che raccogliamo e lo utilizziamo anche sotto forma di iniziative militanti, di serate, pubblicazioni, occasioni di discussione pubblica.
Questo aspetto della nostra attività è fondamentale. Il nostro non è un lavoro puramente archivistico ma soprattutto una scelta militante: si tratta di promuovere una riflessione collettiva, una memoria attiva, di creare uno spazio di condivisione di saperi, in relazione alle lotte di oggi. Non a caso, il centrodoc è parte integrante di Vag61, un centro sociale attivo sul territorio a Bologna. Sono luoghi di pratica antagonista, attraversati da modalità di lotta e di relazione anche femminista.
È stato volgendo uno sguardo di genere ai materiali raccolti finora che è emersa l’esigenza di dare voce al femminismo, realizzando le interviste che sono state poi montate nel video. L’idea del documentario era presente fin dall’inizio, ma è chiaro che l’obiettivo del lavoro era proprio la raccolta delle interviste integrali e di tutto il materiale, come foto, volantini, documenti che erano rimasti chiusi nei cassetti per decenni e che si è messa in moto durante la realizzazione del documentario.
Già dal titolo, netto e deciso, si capisce che il tema trattato sarà un tema forte. Cosa significava allora la parola femminista e cosa significa oggi?
È una domanda che non può essere esaurita con una risposta univoca, intanto perchè ci si riferisce ad una pluralità di femminismi, poi perchè essere femminista comporta scelte diverse a seconda del contesto in cui le lotte si esercitano. Le stesse compagne intervistate danno risposte diverse. Comuni denominatori, in ogni caso, sono l’affermazione di autodeterminazione, l’autonomia delle condizioni materiali e di pensiero, la capacità di costituirsi in un soggetto politico collettivo capace di incidere sull’esistente. Questi aspetti sono comuni anche ai femminismi di oggi che si sono coordinati in un grande movimento politico globale che ha messo in campo una capacità di mobilitazione davvero unica. Il titolo esprime un legame fra le storie di ieri e quelle di oggi, perché dal femminismo non si torna indietro. Eravamo e siamo sempre femministe e lo affermiamo ancora con orgoglio, nelle piazze, nelle strade e nella nostra vita di ogni giorno.
Perché parlare nel 2019 delle lotte degli anni Settanta?
Come dicevo, conoscere la storia dei movimenti, le nostre storie, è fondamentale per costruire le lotte di oggi. Ridiscutere le pratiche per inventarne di nuove, rendersi conto della capacità di analisi e di elaborazione che avevamo per articolare nuove strategie di lotta. Emerge dalle narrazioni grande capacità di metterci in gioco, di creare antagonismo, una stagione creativa che costituisce una fonte di ricchezza per tutte. Esiste una continuità evidente fra le lotte di ieri e di oggi. Anche in senso deteriore, visto che ci troviamo in piazza ad affrontare le sconfitte, a lottare ancora per le stesse cose. La legge 194 che è stata di fatto esautorata dall’obiezione di coscienza utilizzata come un grimaldello, i femminicidi e la violenza contro le donne, il diritto ad autodeterminarsi che crolla sulla diffusa precarizzazione alla quale si aggiunge il terribile sfruttamento delle e dei migranti. Per far fronte a tutto questo c’è bisogno di fare tesoro di tutte le nostre risorse e capacità elaborate in anni di lotte durissime.
Quali sono le lotte di oggi?
Oggi assistiamo ai colpi di coda di un patriarcato che è stato dichiarato più volte morto ma che, invece, è più aggressivo che mai. La ristrutturazione neoliberista ha portato ad un peggioramento delle condizioni di vita che hanno visto una diffusa “femminilizzazione” del lavoro, nel senso di una progressiva precarizzazione e ricattabilità, soprattutto per le donne e per i soggetti non conformi. Il patriarcato ha chiamato a serrare le fila tutte le componenti di integralismo religioso di diversa provenienza che hanno creato una solida alleanza con i populismi di destra che si stanno affermando in molti paesi fra i quali anche il nostro. L’ordine patriarcale è indispensabile alla ristrutturazione neoliberista: le donne hanno sempre svolto una funzione economica indispensabile, separando gli ambiti del lavoro di produzione e di riproduzione e relegando quest’ultimo nel privato, si pongono le basi del sistema di sfruttamento capitalistico che oggi si sta facendo ancora più intenso e pervasivo.
È chiaro che un’operazione del genere non lascia alcuno spazio a rivendicazioni di autonomia da parte delle donne o di altri soggetti non conformi. Questo è il quadro nel quale si muovono le lotte di oggi, che articolano nei contesti specifici un movimento che ha caratteristiche transnazionali. I movimenti femministi attuali hanno chiara la loro natura anticapitalista, antifascista, intersezionale, internazionalista. La riflessione in questo senso è partita dagli anni Settanta ma sta giustamente anche percorrendo strade di autonomia.